– News – Gedi, lo scontro tra i De Benedetti infiamma la Borsa che annusa l’Opa

editoria

Il titolo balza del 15,8% e si allontana dai 25 cent offerti dall’Ingegnere. La proposta non figura all’ordine del giorno del prossimo cda di Cir

di Antonella Olivieri

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3′ di lettura

Un effetto l’iniziativa irrituale di Carlo De Benedetti l’ha già avuto: quello di alzare l’asticella del prezzo per chiunque avesse messo gli occhi su Gedi Gruppo Editoriale. Infatti ieri il titolo della casa editrice è stato sospeso in Borsa per eccesso di rialzo, finendo poi la corsa a 0,293 euro, in progresso del 15,81% da venerdì. Giorno in cui Romed, la finanziaria dell’ingegnere, ha fatto pervenire a Cir un’offerta per il 29,99% (dunque, senza Opa) della società che edita Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, L’Espresso, diverse testate locali e tre radio al prezzo di chiusura di giovedì, 0,25 euro per azione, corrispondenti a una capitalizzazione complessiva di 129 milioni. Una proposta che – come si è capito dalla bagarre scoppiata domenica – era tutt’altro che concordata. Rodolfo e Marco De Benedetti, rispettivamente presidente di Cir e Gedi, con l’ad di Cir e vice-presidente Gedi Monica Mondardini domenica, quando la notizia è diventata pubblica, hanno preparato una nota – di cui erano stati informati i consiglieri della holding proprietaria del 43% di Gedi – nella quale dichiaravano l’offerta «irricevibile». Non avrebbe potuto essere altrimenti, considerato che il prezzo proposto per smantellare una partecipazione di maggioranza non prevedeva un premio rispetto alle quotazioni di mercato, già ai minimi degli ultimi cinque anni.

La scorsa primavera per il gruppo editoriale si era fatto avanti Flavio Cattaneo , in cordata con il fondo Peninsula (di cui è partner l’ex top manager di Mediobanca Stefano Marsaglia) e con un altro misterioso finanziatore rimasto sottotraccia. Come riferito domenica da ilsole24ore.com, la cordata era arrivata a spingersi fino a 0,37 euro per azione, 190 milioni in tutto, pur senza formalizzare un’offerta. La cosa si era arenata sia per il non gradimento del capofamiglia Carlo De Benedetti, che pure aveva passato la mano ai figli sia per le cariche societarie che per il possesso azionario, sia per il fatto che gli interessati avevano chiesto che il venditore si facesse carico delle eventuali sanzioni derivanti da un’indagine penale per presunta truffa all’Inps, collegata a prepensionamenti “irregolari” nel periodo 2012-2015, a carico anche dell’ad pro-tempore della società.

Nel bilancio Gedi questo rischio non è stato quantificato, dal momento che la società ha dichiarato che allo stato «non si trova per ragioni oggettive nelle condizioni di potere valutare né le specifiche condotte che asseritamente integrerebbero le ipotesi di reato, né il numero degli ex dipendenti che avrebbero avuto illegittimamente accesso al pensionamento anticipato, né conseguentemente l’eventuale danno erariale risarcibile». Rischio che però i legali di parte avrebbero stimato in alcune decine di milioni, da 50 a 80.

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Se queste stime si rivelassero corrette, non necessariamente la valorizzazione di Cattaneo & C – per quanto rivolta all’intero capitale – sarebbe stata superiore a quella implicita nell’offerta «irrevocabile» avanzata da De Benedetti-padre, che «non è condizionata all’espletamento di alcuna due diligence, ferma restando la garanzia sui bilanci e sulle situazioni infrannuali pubblicati», come recita la proposta recapitata a Cir da Romed.

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