– News – Coronavirus, molti i lavoratori a rischio contagio

(Teleborsa) – Sono soprattutto donne, professionisti ad elevata istruzione e giovani ad essere maggiormente esposti a rischio contagio da malattie infettive respiratorie come il Coronavirus che, nonostante il rallentamento della presa epidemica nel nostro Paese, continua a rappresentare una minaccia.

Sono i luoghi di lavoro, del resto, gli ambiti più rischiosi: non solo perché frequentati da una quota importante di popolazione ma, soprattutto, per il tempo che vi si trascorre. L’esposizione al contagio risulta poi differente in funzione dell’attività professionale
svolta. È quanto emerge dal report della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “Lavorare ai tempi del Covid-19: il rischio contagio tra gli occupati italiani“, elaborato sulla base di 5 fattori di rischio a cui sono esposti i lavoratori (frequenza dei contatti con altre persone; interazione con pubblico; lavoro al chiuso; vicinanza fisica ad altre persone; frequenza esposizione a malattie e
infezioni).

Le donne che potrebbero essere contagiate sono 4 mln 345 mila e rappresentano il 44% delle occupate. Di questa percentuale il 21,6% svolge una professione a rischio contagio molto elevato e il 22,4% elevato. Valori che risultano di gran lunga più alti di quelli che si riscontrano tra gli uomini (svolge un lavoro rischioso per il contagio il 16,4% degli occupati). Anche i giovani, del
resto, sono più frequentemente occupati in lavori a stretto contatto con il pubblico (commercio, ristorazione) e pertanto presentano una maggiore possibilità di contrarre il virus: tra gli under 35 il 35,1% svolge una professione ad altro rischio, mentre nelle altre fasce d’età la percentuale si riduce attorno al 27%.

Il livello di istruzione è un altro fattore distintivo correlato al rischio, rilevandosi più alto nelle classi di istruzione più elevate: il 40,9% dei laureati (di questi, il 22,9% con rischio molto elevato) contro il 27% dei diplomati e il 20,9% di quanti sono in possesso del diploma di scuola media.

Passando alla classifica delle professioni più a rischio, in testa vi sono quelle legate alla salute: medici (308 mila), infermieri, radiologi, esperti di diagnostica (736 mila) e professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali, come massaggiatori sportivi, operatori sociosanitari, assistenti di studi medici (258 mila). A seguire, gli specialisti delle scienze della vita come farmacisti, biologi, ma anche veterinari (150 mila) e professori della scuola primaria (485 mila).

Poi, gli operatori della cura estetica (277 mila), tecnici dei servizi sociali (88 mila), figure addette ai servizi personali e assimilati come baby-sitter, badanti, addetti alla sorveglianza bambini o assistenza personale (492 mila) e assistenti di viaggio (19 mila). Ad essere esposti, inoltre, gli esercenti e addetti nelle attività di ristorazione, professori di scuola secondaria e post-secondaria, addetti all’accoglienza e all’informazione della clientela, specialisti dell’educazione e della formazione e, infine, il personale addetto agli sportelli e ai movimenti di denaro.

Lo studio si focalizza poi sulla distribuzione dei lavoratori per area geografica, evidenziando come, nonostante il contagio abbia interessato maggiormente il Nord Italia, il potenziale di diffusione tra i lavoratori è più alto al Sud dove, vista la concentrazione di determinate professioni, ben il 31,3% degli occupati risulta esposto contro il 28,5% del Centro e il 26,5% del Settentrione.

“I datori di lavoro non devono abbassare la guardia”, dichiara il Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro,
Rosario De Luca. “È fondamentale anche nei mesi a venire assicurare il contenimento del contagio nei luoghi di lavoro attraverso la riorganizzazione degli spazi e l’adozione di misure precauzionali che tutelino la salute dei lavoratori. Contemporaneamente, però, è necessario salvaguardare anche i datori di lavoro virtuosi, che pur avendo attuato tutte le norme necessarie ad impedire il contagio,
possono essere soggetti alla responsabilità penale, con il pericolo di vedersi riconosciuto il proprio comportamento lecito solo alla fine del procedimento”, conclude il Presidente.



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