– News – XXIV Rapporto economia globale: “2019 anno delle incertezze”

(Teleborsa) – Il 2019 è l’anno delle incertezze che hanno messo in discussione i punti fermi su cui si basa l’economia mondiale e il rallentamento a cui si sta assistendo ne è la diretta conseguenza. Tanti i fattori scatenanti, spesso di natura non economica: tra questi, il cambiamento climatico ma anche un “incattivimento globale” che ha destabilizzato la società a livello internazionale e, “dulcis in fundo”, il virus cinese.

Sono questi alcuni degli aspetti che emergono da “Il Tempo delle incertezze – XXIV Rapporto sull’economia globale e l’Italia”, presentato a Milano e promosso dal Centro Einaudi e da Ubi Banca, curato da Mario Deaglio, economista e professore emerito di Economia Internazionale all’Università di Torino,

Stiamo vivendo il tempo delle incertezze, lacerati i punti di riferimento“, ha spiegato Deaglio, sottolineando come tra i tanti fattori di rischio, quello più misterioso è il nuovo virus cinese. “La Cina è oggi il vero polo dell’economia mondiale, se si ferma non abbiamo idea di cosa succederà“.

Primo possibile impatto sul turismo perché, senza i turisti cinesi, il settore, specie in Italia, rischia il crollo. Anche l’invito delle autorità cinesi a prolungare di un mese le ferie nelle zone più a rischio epidemia potrebbe avere un impatto enorme, visto che, ricorda Deaglio,”il distretto di Wuhan è vasto come la nostra Lombardia“.

Poi, le tensioni geopolitiche, a partire dall’Europa dove non c’è solo l’incognita Brexit. Altri tasselli, la guerra tra sunniti e sciiti in Medio Oriente; America Latina e India sempre più instabili; i dazi, voluti da Trump che “iniziano ad avere un peso importante”. “Non meraviglia quindi che la globalizzazione, intesa come il rapporto tra esportazioni mondiali e Pil mondiale, non cresca più – ha evidenziato l’economista confermando una situazione in lento peggioramento dal 2017 – e anche “le stesse proiezioni sul Pil sono ormai atti di fede visto che sono stati rivisti già due volte”.

E poi, tra i fattori di rischio, il “disordine climatico”con la scarsità di investimenti ecologici per una più generale diminuzione degli investimenti, a sua volta, causa ed effetto, della frenata economica globale. Fattori non economici hanno inoltre contribuito a creare un clima di incertezza diffuso in tutto il mondo; la crisi delle grandi religioni, a iniziare dalle guerre intestine alla Chiesa Cattolica, delle ideologie, ma anche quello che il professore Deaglio ha definito il “risentimento degli esclusi”, citando un aumento dei suicidi nella classe media americana.

Risentimento che viene nominato nel rapporto come “microcattiveria”, che parte dall’ostilità dei genitori verso gli insegnati, passando per le fake news, i vandalismi e i comportamenti indisciplinati nel traffico. Infine, la mancanza di identità: secondo una ricerca Neodemos, oltre un miliardo di persone su sette non ha un’identità riconosciuta e comprovata.

Fondamentale il ruolo degli Stati Uniti che hanno visto un aumento del Pil reale al 109.7 nel 2019, ma con all’interno di una situazione economica poco rassicurante. Non convince, secondo il rapporto, il fatto che l’aumento dei profitti delle imprese sia legato più alla diminuzione delle imposte che a una produttività reale. “Le imprese hanno guadagnato perché hanno meno tasse e – ha spiegato Deaglio – non per la produttività, mentre la capitolazione della Borsa è raddoppiata perché le stesse imprese si sono comprate le proprie azioni invece che investire”.

Tutto ciò ha portato a un parziale stallo nella crescita del Pil, tanto che si teme che l’effetto Trump sia solo temporaneo e che possa invece nascondere una situazione più complessa. Prova ne è, secondo il rapporto, l’andamento dei debiti delle società non finanziarie, i prestiti per le auto e il credito al consumo che sono aumentati in misura maggiore rispetto al Pil.

In una situazione così complessa, secondo il rapporto l’Europa sembra aver trovato una via di fuga nei nuovi accordi commerciali, tra cui spicca il CETA e quello col Giappone che, da solo, aprirebbe una zona commerciale che copre quasi un terzo del Pil mondiale, ma anche quelli che sono in corso di trattativa specie con la Cina.

Sul fronte lavoro, infine, il vero pericolo è dato da un uso di dati ormai non più aderenti alla realtà di oggi, per cui, come rileva Deaglio, “un rider che lavora 5 ore a settimana risulta occupato come un chirurgo che ne lavora 50. I principali indicatori sono obsoleti e i dati sono di difficile interpretazione”.



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